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Intervista per RadioRadicale, assieme a Valeria Manieri (Radio Radicale), Francesco Radicioni (esperto di Asia) e Eugenio Buzzetti (collaboratore/corrispondente Agi-AgiEsteri). Quale il futuro della “guerra” dei dazi tra Cina-USA? e per l’EU cosa si prospetta? Perché la Cina fra pochi anni ci raggiungerà? Su cosa deve sapere puntare l’Italia? Ecco alcune risposte…

 

A che punto siamo, rispetto alla possibilità di un accoro tra Cina e Stati Uniti sul commercio, siamo ancora lontani? Quanto pesano anche le questioni legate alle tariffe che dovrebbero scattare il 15 giugno?

G: Penso che la questione si stia sgonfiando con i suoi tempi, in modo non sempre lineare, con delle recessioni, allargamenti, ma penso che come dall’inizio avevo predetto, questo tipo di guerra è stata usata come strumento negoziale per altre cose. Abbiamo visto come una parabola, si arriva alle minacce e poi si appianano le relazioni. Caso interessante anche quello della ZTE a cui era stato vietato di fare accordi di acquisti mentre ora si sta piano piano risolvendo. Anche oggi la Cina ha dichiarato che acquisterà maggiori prodotti dagli USA, non si sa quanto, è difficile capire se l’annuncio è nuovo o se riprendono notizie dette prima, ma si parla comunque di decine di miliardi di dollari in aggiunta, 50/20 mld, certamente non i 200 che Trump dice di voler raggiungere, anche se sa benissimo che non è possibili e credo che non sia nemmeno il suo obbiettivo. La Cina porge la mano, prima con i prodotti agricoli, poi i 50 miliardi, poi la situazione con la Corea. Non è una guerra commerciale tra i due al fine di ridurre il deficit commerciale degli Stati Uniti, ma un mezzo politico per parlare ai suoi elettori, farà qualche azione per stimolare la Cina, poi questa risponderà e poi si tirerà indietro. Forse il problema è l’Europa, che non sa bene come gestire questa situazione e che ora si trova tra due fuochi, è in grave difficoltà perché quando si tratta di negoziare dazi, bisogna mettere assieme 28 paesi ed opinioni diverse.

È impossibile fare tutti contenti. La mia preoccupazione principale è come e chi farà la mano forte in Europa, ma sarà difficile non penalizzare qualche paese. Alla fine, devo purtroppo dire, l’Italia fa sempre il vaso di coccio, perché la nostra posizione viene spesso strumentalizzata, e ciò porta svantaggi naturalmente, poiché non ci sono sistemi di redistribuzione interna di ricchezza. La mia preoccupazione principale è: qual è il ruolo dell’Europa in questo scacchiere?

Vorrei aggiungere inoltre il problema sull’altro versante, sui dazi americani sulle esportazioni europee di acciaio e alluminio…

G: La Germania, che esporta 3.000 miliardi di acciaio verso gli Stati Uniti mentre l’Italia meno di 1/3, s’interessa di questo problema sui dazi sull’acciaio, non perché fa l’interesse europeo, ma piuttosto delle proprie aziende che producono acciaio e che verrebbero colpite dai dazi. Questo è un esempio calzante, anche a noi farebbe comodo esportare, ma non ha un grande impatto, nel caso poi i dazi venissero effettivamente applicati.

 

Bruxelles ha coinvolto la WTO, dobbiamo aspettare qualche sviluppo. C’è stato uno studio che indica 7 miliardi di perdite per gli USA e 4,5 miliardi per L’Europa a causa dei dazi. Cosa ne pensa?

G: Bisogna vedere la concentrazione di queste perdite, in quale area geografica e in quale settore vengono persi? Questi calcoli sulle perdite sono molto difficili da fare, è difficile quantificare il valore totale delle sanzioni. La verità è che non si sa, perché ci sono troppe variabili. Ad esempio, quado si è dovuto calcolare il vantaggio dell’Italia dopo essere entrata nell’Euro, la stima è stata dello 0,5% del PIL, non sono numeri grandi, ma non sono nemmeno stime facili da calcolare.

La Cina ha avuto una crescita del PIL anche grazie all’apertura dei mercati ma, partiva naturalmente da una situazione molto diversa rispetto a quella dell’Italia di 18 anni fa, dove la crescita è stata sicuramente minore. Rimettere quindi in questione i rapporti tramite i dazi non farà sicuramente crollare il PIL cinese o americano del 2%.

 

Dazi e politiche europee rispetto alla Russia, ci sono questioni geopolitiche di diritti umani e altri che interessano direttamente all’Europa, che la caratterizzano.

G: Nella teoria dei giochi, ci sono strategie che non stanno tanto in piedi, per questo motivo c’è una parabola iniziale. Nella media, naturalmente. Mentre in alcuni casi, i dazi hanno un valore e dei vantaggi nel piccolo, in una regione, industria o azienda.

 

Si parla di surplus commerciale, ma ci sono altri analisti che pongono l’accento sulla strategia, che vorrebbe bloccare il piano china manufacturing 2025, quindi i settori strategici della tecnologia, come: big data, AI, corsa allo spazio; tutti settori dove Pechino sta puntando tantissimo per fare quello switch da basso valore aggiunto a maggior valore. Lei come legge questo tipo di interpretazione?

G: È un’arma molto pericolosa, perché è vero che ci può essere la volontà di limitare l’ascesa della Cina, ma attenzione che quando questa viene bloccata accelera il proprio processo di sviluppo, quindi nel breve prende una botta, ma poi nel lungo termine accelera. Diventa poi una situazione irrecuperabile, infatti uno dei motivi per cui ora è all’avanguardia, è perché i componenti che gli servivano e che gli erano stati bloccati se li è prodotta da sola e diventando anche più efficiente degli USA. Questo il trade-off molto difficile, per cui penso che fare i dazi per bloccare CM2025 non fa altro che accelerarla, inoltre la Cina investe 2.8% del PIL in ricerca e sviluppo. Sorpassando completamente quello che noi in Italia e in altri paesi riusciamo a fare.

 

Dopo il caso ZTE di cui parlavamo, sulla stampa di Pechino è tornato in modo forte l’appello cinese all’autosufficienza, come per la produzione di micro processori. Sembra che la Cina si stia attrezzando ad andare verso l’autosufficienza, quasi autarchica.

G: C’è quasi un desiderio ereditario di avere auto-sufficienza da parte della Cina. Per questo motivo vi sono stati molti sforzi anche nell’agricoltura, per migliorare la produzione per ettaro, è stata pioniere per l’utilizzo dei fertilizzanti. La Cina ha la capacità di rispondere e nel lungo termine noi avremo dei problemi seri perché non abbiamo la capacità di reagire alla grandezza di questo fenomeno, la Cina fa 50% di tutto quello che si vende al mondo, esagerando. Come costi ed economie di scala è impossibile competere. Nel futuro la Cina sarà il paese che produrrà tutto e meglio degli altri, per cui noi dovremmo fare altro. Per il momento, noi resistiamo sull’innovazione e la creatività e sono questi i due fattori su cui investire nei prossimi anni.

 

Richard Freeman ha detto però che c’è un pezzo di industria, di ricerca europea che è estremamente avanzata e può godere di un po’ di fiato.

G: Certamente, mi trova d’accordo. Infatti, non penso che domani ci ritroveremo sommersi dalla Cina, abbiamo alcune inerzie e competenze tecnologiche che la Cina vuole comprare, e quando le compra diventano sue, naturalmente il tempo di decadimento c’è, ma non è infinito e c’è un continuo scambio di competenze, per cui diventeranno sempre di più cinesi. Anche nella moda vediamo che adesso ci sono molti stilisti cinesi, che competono con i nostri. Non hanno il brand o il nome, ma è indicativo di come il gap si stia restringendo.  Tutta la società cinese si evolve e con grande velocità. Quindi, abbiamo le competenze ma non dureranno per sempre, col nuovo governo dovremmo vedere cosa fare in questi 5 anni, molto importanti, perché coincidono con la conclusione del piano China Manufacturing 2025. Quindi sarà proprio nel 2023, quando ci troveremo a fare i conti con cosa l’Italia ha fatto e cosa ha fatto la Cina, o sta per apprestarsi a finire essendo il piano per il 2025. Io vorrei incominciare a fare e accelerare per non perdere terreno.

 

Dopo l’incontro tra Kim e Xi, Trump ha confermato il summit a Singapore, cosa ne pensa?

G: Direi che è il trionfo della strategia di Trump, randomica, che spiazza e raggiunge l’obbiettivo. Penso che si farà perché è negli interessi di tutti e nella strategia di Trump, il quale spinge da parte sua la Cina a far tornare Kim nella rete internazionale. Win-win per tutti. Una mia previsione: vediamo chi prenderà il premio Nobel tra i tre….

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